Il paradiso dei complottisti

ovvero “tutto ciò che è successo nel campionato del mondo di scacchi”

(a cunningly arranged distribution of edible items to one player during the game could convey a kind of code message - Viktor Korchnoi)



Un tempo la politica era una cosa seria e se ne occupavano poche persone, che raramente venivano coinvolte in qualche scandalo. Anche i fatti di cronaca erano meno sanguinosi di quanto accada al giorno d'oggi, né esistevano serial killer o mafie di vario genere. Non era insolito, in questa epoca neanche così lontana, che i giornali avessero molti spazi da riempire e che, in assenza di competizioni sportive importanti, riportassero puntualmente i risultati dei rari tornei di scacchi che venivano disputati, speculando spesso e volentieri su chi fossero i più forti giocatori in circolazione.
Non appena i progressi tecnologici - ferrovie, piroscafi, telegrafo - rendono più semplici e meno avventurosi i viaggi e gli scambi di notizie, l'idea di trovare un "campione del mondo" comincia farsi strada nel mondo scacchistico. E quando nel 1843 l'inglese Howard Staunton esce vincitore da un match contro il francese Pierre de Saint Amant, l'idea sembra concretizzarsi. Staunton, più abile a far parlare di sé che a giocare ad alto livello, comincia a definirsi "campione del mondo" intorno al 1845 e qualche anno più tardi cerca la definitiva consacrazione in un grande torneo da lui stesso organizzato: il torneo in questione, giocato a Londra nel 1851, vede la partecipazione di quasi tutti i più forti giocatori in circolazione ma, con sommo dispiacere di Staunton, viene vinto dal semisconosciuto insegnante di matematica tedesco Adolf Anderssen, che diventa così campione ufficioso negli anni a seguire. Staunton dirada la sua attività - il professionismo è ancora un'utopia - ma mantiene alta la sua fama: quando nel 1858 il giovane scacchista americano Paul Morphy arriva in Europa, è Staunton, non Anderssen, con cui vuole giocare. L'inglese, fiutato il pericolo (Morphy dimostra nel giro di poche settimane di essere molto più forte dei suoi contemporanei), accampa una scusa dopo l'altra e riesce ad evitare il prevedibile massacro. L'americano, nonostante trovi il tempo di battere largamente Anderssen in un match giocato in dicembre a Parigi, torna frustrato in America e abbandona l'attività, creando un bel problema ai suoi contemporanei: è lui il nuovo "campione del mondo"? Probabilmente sì, ma fino a quando, dato che dopo il 1859 non ha più giocato? Nascono a questo punto due linee di pensiero: la prima ritiene che Morphy non vada considerato "campione" se non per il breve periodo intorno al 1858 e che, dopo la sua vittoria nel grande torneo di Londra del 1862, il "titolo" sia tornato ad Anderssen, che lo perde nuovamente nel 1866 (sempre a Londra) in un match contro l'ex-studente di matematica Wilhelm Steinitz; costui difende a sua volta il "titolo" contro Johannes Zukertort, nel 1872 e contro il collerico inglese James Blackburne, non a caso detto la "morte nera", nel 1876. Ma siamo sempre nel campo delle speculazioni: non sono questi i soli match disputati da Steinitz nei suoi anni migliori, né i suoi avversari giocavano per qualcosa di più importante di un premio in denaro.
La seconda linea di pensiero, invece, ritiene che il "titolo" debba essere attribuito a Morphy o lasciato vacante almeno sino alla morte dell'americano, avvenuta nel 1884 dopo ben 25 anni di oblio: questa sembra essere, al momento, la linea prevalente, anche perché nel 1886 si disputa finalmente un match di alto livello per quello che tutti ritengono - e definiscono - il "campionato del mondo": regole precise, un ricco premio in denaro (l'equivalente di circa 250000 US$ odierni), uno sfidante qualificato, grande interesse da parte del pubblico e della stampa. Come si può intuire, tutto questo avviene perché il match si disputa negli Stati Uniti, dove Steinitz si è trasferito da poco alla ricerca di premi più consistenti. L'affarismo americano unito alla recente morte di Morphy ha fatto nascere il gioco moderno.
E il match vero e proprio? Lo sfidante di Steinitz è il già citato Johannes Zukertort, bizzarro avventuriero polacco che ama raccontare balle su di sé imitando il barone di Munchausen, ma è anche stato allievo di Anderssen: come il forte giocatore tedesco, Zukertort appartiene alla scuola degli attaccanti "ad ogni costo", categoria di scacchisti affermatasi durante il Romanticismo e come questo ormai in declino. Il gioco posizionale, sotto la spinta di Steinitz che dal 1873 ne ha intuito la superiorità, si va affermando inesorabilmente. Ciò nonostante, è Zukertort che prende rapidamente il largo nel corso dei primi incontri giocati a New York. Tuttavia Steinitz, che forse non ha il talento del suo avversario ma è preparato molto meglio, esce fuori alla distanza e approfitta dei trasferimenti, da New York a St. Louis e infine a New Orleans, per fiaccare il suo rivale e batterlo con ampio margine (10 vittorie a 5 e 5 patte): il titolo è suo. Zukertort, che oltretutto non gode di buona salute, morirà due anni dopo.
L'interesse scema. Negli anni che seguono Steinitz difende tre volte il titolo, due contro il russo Mikhail Chigorin, altro esponente dello stile romantico e che approfitta dell'età avanzata del tedesco (ormai più che cinquantenne) per dargli filo da torcere; una contro l'ungherese Isidor Gunsberg, altro giocatore di secondo piano, come del resto Chigorin. I guai arrivano nel 1894 quando Steinitz, giunto all'età di 58 anni, accetta la sfida di Emanuel Lasker, ennesimo matematico tedesco appassionato di scacchi, ma molto più forte dei suoi contemporanei a dispetto di una carriera iniziata solo cinque anni prima. Come accaduto contro Zukertort, il match si gioca in località diverse: New York, poi Philadelphia, infine Montreal. Il premio in denaro è enorme, l'equivalente di mezzo milione di US$ odierni. L'esito non appare scontato, dato che la fama di Steinitz è molto superiore a quella del suo avversario. Ma Lasker distrugge facilmente l'anziano rivale, costretto ad una pausa a metà match per riordinare le idee e limitare così i danni. Il match termina con 10 vittorie a 5 (e 4 patte) e il titolo che passa di mano; quando, 3 anni dopo, Lasker concederà a Steinitz una rivincita, l'umiliazione (10 vittorie a 2 con 5 patte) sarà ben maggiore. Il vecchio campione ci perderà il senno e, dopo un ricovero in manicomio, morirà povero e dimenticato nel 1900.
Emanuel Lasker, a differenza di Steinitz, non è solo uno scacchista. Fortissimo giocatore di Go e di Bridge, matematico davvero brillante (ha contribuito allo sviluppo dell'algebra commutativa), amico di Einstein e di Hilbert, drammaturgo, filosofo, attivo politicamente: tutt'altra cosa rispetto al suo predecessore, che pure era riuscito a far progredire gli scacchi come nessun altro. Purtroppo Lasker è anche furbo, e decide di sfruttare al meglio il titolo appena conquistato, evitando le sfide da parte di giocatori che potrebbero metterlo in difficoltà, come Siegbert Tarrasch, medico tedesco e influente teorico (a cavallo del secolo), o il talentuoso, ma mentalmente instabile giocatore polacco Akiba Rubinstein (nei primi anni del '900). Lasker preferisce mettere in palio il titolo contro giocatori di secondo piano, come l'americano Frank Marshall (demolito nel 1907 con 8 vittorie a 0 e 7 patte), il discontinuo polacco David Janowski (ugualmente spazzato via nel 1910 con 8 vittorie a 0 e 3 patte), e il sorprendente ma coriaceo austriaco Carl Schlechter che, fra lo stupore generale, nel 1910 pareggia il suo match (1 vittoria per parte con 8 patte) dopo aver rischiato di vincere! Questo match era a tal punto considerato una formalità, all'epoca, che al giorno d'oggi è difficile trovarne informazioni dettagliate e molti dubitano (forse a ragione) che non fosse un vero match per il titolo, ma solo un allenamento da parte di Lasker in vista del successivo (e più importante) scontro con Janowski.
Tuttavia, almeno nel 1908 Lasker gioca un match davvero importante: quello col già citato Tarrasch, al quale oltretutto non sta molto simpatico. Ma, astutamente, Lasker ha atteso il declino del suo acerrimo rivale, più anziano di sei anni, prima di dargli una possibilità: Tarrasch viene demolito per 8 vittorie a 3 (e 5 patte), e nel giro di qualche anno scompare dalle scene scacchistiche. In quanto all'altro grande giocatore di inizio secolo, Rubinstein, un match viene organizzato per l'ottobre del 1914: ma lo scoppio della guerra farà calare il sipario su ogni attività scacchistica, almeno in Europa. La salute mentale di Rubinstein, già vacillante, viene definitivamente compromessa dalle vicende belliche e il polacco, pur continuando a giocare con alterni risultati sino al 1932, uscirà dall'elite scacchistica.
Poi, la "grande guerra". Lasker, da buon patriota, ha investito tutto il suo denaro in buoni del tesoro tedeschi, e si ritrova senza un soldo alla fine del conflitto. Costretto ad accettare la sfida dell'astro nascente José Capablanca (nel 1911 aveva rifiutato) fa di tutto per perderla, dapprima "abdicando" in favore del cubano e infine presentandosi a giocare a L'Havana del tutto impreparato, anche fisicamente. Dopo aver perso una sola partita nel corso delle prime 9, Lasker cede progressivamente e infine abbandona dopo il 14° incontro e la quarta sconfitta. E' il 1921: il tedesco ha ormai passato i 52 anni, il cubano ne ha 32 ed è al vertice della sua carriera.
Cosa era passato per la testa di Lasker? Impossibile a dirsi, ancora oggi. La tesi "ufficiale" è che dopo gli orrori della guerra e la miseria che aveva colpito molti grandi scacchisti, Lasker si sentisse stanco e amareggiato e non avesse più voglia di giocare ad alto livello, pur riservandosi il diritto di scegliere un degno successore. Infatti nella sua "abdicazione" Lasker nominò esplicitamente Capablanca come "nuovo campione" e volle giocare il match del 1921 come "sfidante". Una teoria più intrigante vede invece Lasker giocare d'astuzia per l'ennesima volta e, sapendo di non essere in grado di battere il cubano, tentare di screditarlo lasciandogli il titolo senza giocare. In questo modo, come già accaduto con Morphy e Steinitz, molti appassionati avrebbero dubitato della forza di Capablanca, e Lasker sarebbe rimasto campione "in pectore". Costretto infine a giocare per risollevare le sue disastrate finanze, il tedesco avrebbe abbandonato il match una volta resosi conto di non essere neanche in grado di perdere di misura. Certo è che, a dispetto dell'età, Lasker sembra ancora in piena forma: nel 1924 vince l'importante torneo di New York superandovi non solo Capablanca ma anche Alekhine, e ancora nel 1925 è secondo a Mosca, nuovamente davanti a Capablanca. Come se non bastasse, dopo essere fuggito dalla Germania nazista (è ebreo) Lasker riprende a giocare all'età di 67 anni e per un soffio non vince a Mosca, nel 1935 (arrivando comunque davanti a Capablanca e battendolo nello scontro diretto). Solo nel 1937, a 69 anni, abbandona definitivamente l'attività scacchistica.
Chi è José Capablanca? E' un tipico figlio di quella Cuba godereccia e succursale degli USA, almeno sino alla rivoluzione castrista. Dongiovanni impenitente, appassionato di bridge, tennis e baseball oltre che di scacchi, passa la sua vita senza mai studiare veramente qualcosa e facendo affidamento solo sul suo immenso talento. Si dice che abbia imparato a giocare a soli 4 anni, osservando il padre e arrivando ben presto a correggerne gli errori. Campione cubano a 13 anni, diventa professionista a 21, dopo essersi trasferito a New York e avere abbandonato gli studi di ingegneria: il suo talento è così grande - forse il più grande in assoluto - che a 20 anni, nonostante sia già fra i primi giocatori al mondo, ancora non ha studiato le aperture!
Ma Capablanca è soprattutto un appassionato: dopo i caotici anni di Steinitz e di Lasker il cubano cerca di regolamentare in qualche modo gli incontri per il titolo, soprattutto per quanto riguarda il premio in denaro (che si stabilizzerà sull'equivalente di 250000 US$ odierni, come nel match fra Steinitz e Zukertort): è con lui che il titolo acquista quel prestigio che mantiene tuttora e i match diventano "moderni" sotto ogni aspetto. Il primo sfidante, dopo un'attesa di ben sei anni, è il russo naturalizzato francese Alexander Alekhine: rampollo di una ricca (ma non aristocratica) famiglia moscovita, si afferma, come Capablanca, nel corso degli anni '10 (i due sono nati a soli quattro anni di distanza) e dopo che Lasker esce di scena nel 1925 diventa il principale avversario del cubano. Nel frattempo ha abbandonato l'URSS e cercato rifugio in Francia, è arrivato a tre mogli (finirà con quattro) ed ha cominciato a bere. Questo non gli impedisce di affrontare Capablanca nel 1927 e batterlo, grazie alla sua preparazione superiore e all'eccessiva sicurezza del campione cubano, così forte da essere considerato quasi invincibile dai suoi contemporanei. Il match è memorabile, uno dei più importanti mai disputati: entrambi i giocatori sono in forma, al culmine della loro carriera, ed entrambi sono ritenuti tra i più forti di tutti i tempi. Alekhine prevale per 6 vittorie a 3 e ben 25 patte; Capablanca chiede subito una rivincita. Ma Alekhine, personaggio astuto e calcolatore, si rende conto che il cubano, assetato di vendetta, stavolta avrebbe curato al meglio la preparazione e di conseguenza fa in modo, con richieste economiche difficili da soddisfare, di evitare un secondo match. Questa è probabilmente la ragione che impedisce ad Alekhine di essere posto sullo stesso livello di scacchisti come Fischer o Kasparov: avrebbe battuto un Capablanca più determinato? In perfetto "stile Lasker" Alekhine fa in modo, negli anni seguenti, di affrontare solo avversari di secondo piano: dapprima l'esule sovietico Efim Bogoljubov, battuto con ampio margine nel 1929 (11 vittorie a 5 e 9 patte) e nuovamente nel 1934 (8 vittorie a 3 e 15 patte); quindi il mediocre professore di matematica Max Euwe, un dilettante che a metà degli anni '30, in un breve periodo senza grandi campioni (con Capablanca e Nimzowitsch in declino e Keres e Fine ancora acerbi) riesce a ritagliarsi un suo spazio nell'elite scacchistica.
Ed è proprio grazie ad Euwe che succede un fatto imprevisto: Alekhine si presenta al match per il titolo, nel 1935, del tutto impreparato e talvolta sotto l'effetto di un bicchiere di troppo. Per quanto quest'ultimo punto sia ancora oggi piuttosto controverso (molti ritengono esagerati i resoconti che narrano di un Alekhine che cercasse di giocare completamente ubriaco) il campione finisce per perdere di stretta misura: 9 vittorie ad 8, con 13 patte. E' forse il risultato più clamoroso nella storia del campionato del mondo: al punto che Euwe, giocatore mediocre ma estremamente corretto, concede senza indugio la rivincita ad Alekhine. Questi si prepara al meglio, smette completamente di bere e si riprende il titolo senza discussioni, con 10 vittorie a 4 (e 11 patte). Ma il suo declino è iniziato e la sua fama ha subito un duro colpo: è bene ricordare che Alekhine, nei suoi dieci anni da campione del mondo, non solo non ha concesso la rivincita a Capablanca, ma ha persino evitato di incontrarlo in torneo. Inoltre si è guardato bene dal concedere una possibilità all'altro grande giocatore della sua epoca: il lettone Aron Nimzowitsch, tra i massimi innovatori e teorici del gioco, e terzo scacchista al mondo a cavallo degli anni '30.
Ma se Capablanca mostra chiari segni di declino e Nimzowitsch è morto di polmonite nel 1935, altri giocatori si stanno mettendo in luce. La radio olandese AVRO organizza allora un supertorneo allo scopo di trovare uno sfidante credibile per Alekhine, il quale vi partecipa a sua volta. Il famoso torneo si gioca nel 1938, ed è vinto a pari merito dall'americano Reuben Fine e dall'estone Paul Keres, due giovani emergenti. Alle loro spalle il sovietico Mikhail Botvinnik, leader della nascente scuola sovietica, fortemente voluta da Stalin per affermare la superiorità dell'URSS anche in campo intellettuale. Mediocri le prestazioni degli altri giocatori, inclusi Alekhine e Capablanca. Il campione del mondo inizia trattative con Keres e Botvinnik; ma la sua idea è quella di concedere l'agognata rivincita a Capablanca, che ormai non rappresenta più un pericolo. Le trattative sono a buon punto quando scoppia la guerra: molti scacchisti sono a Buenos Aires per l'ottava edizione delle Olimpiadi. Capablanca resta in America, e morirà a New York nel 1942, un anno dopo Lasker; Alekhine torna in Europa, preoccupato per le sorti della sua quarta moglie, di origini ebraiche. Di scacchi si tornerà a parlare nel 1946.
Come si può immaginare, molte cose cambiano dopo la guerra. Alekhine e Keres, a corto di soldi, hanno commesso un grave errore: giocare in qualche torneo organizzato dai nazisti. Per di più, Alekhine ha anche scritto articoli antisemiti in una rivista di scacchi, ed è ormai considerato una specie di lebbroso; vive in esilio in Portogallo, incerto sul suo futuro. Da più parti si chiede di "revocargli" il titolo: ma chi dovrebbe farlo? E come scegliere un successore? Botvinnik, tuttavia, accetta di giocare contro di lui. Resosi conto che Alekhine è ormai finito e che batterlo non sarebbe un problema, il sovietico preferisce di gran lunga questa possibilità a quella di un titolo finito nelle sue mani senza giocare. Le trattative sono a buon punto quando Alekhine muore improvvisamente nel marzo del 1946.
Infarto? A 54 anni? Alekhine beveva, fumava e forse faceva anche uso di droghe. Possibile, ma l'autopsia scopre un pezzo di carne incastrato nella sua gola. Come il drammaturgo Tennessee Williams negli anni '80, si direbbe che il grande scacchista sia morto soffocato da ciò che aveva ingerito. Ma altre, e più sinistre ipotesi, si sono fatte strada negli anni: Alekhine sarebbe stato ucciso dai servizi segreti francesi o sovietici, evidentemente allo scopo di eliminare un personaggio scomodo ma ancora troppo importante. Lo scacchista canadese Kevin Spraggett, nel suo blog, e lo stesso figlio di Alekhine hanno sostenuto questa tesi, a favore della quale gioca la strana coincidenza di una morte avvenuta poche ore dopo che la Federazione inglese aveva accettato di ospitare il match con Botvinnik, rendendo così una certezza (o quasi) il suo svolgimento. Naturalmente giova ricordare che ai sovietici, per i motivi sopraesposti - Botvinnik avrebbe battuto facilmente il vecchio campione - non sarebbe convenuto eliminare Alekhine; ma, per quanto Botvinnik fosse influente e - dicono - amico di Stalin, molte decisioni venivano prese a sua insaputa.
Sta di fatto che il titolo resta vacante. Dopo lunghi e complessi negoziati la Federazione (nata in sordina nel 1924) riesce a prendere in mano la situazione e ad organizzare un torneo esagonale fra i superstiti dell'AVRO di otto anni prima: Fine, Keres, Botvinnik, Euwe, l'americano Samuel Reshevsky e il cecoslovacco Salomon Flohr; costui, diventato nel frattempo cittadino sovietico (come del resto Keres) e di gran lunga il meno forte del gruppo, viene sostituito dal giovane e promettente Vasily Smyslov. Ma i problemi non sono affatto finiti: quando il supertorneo sembra ormai cosa fatta, Fine decide di non partecipare. Motivazione ufficiale: preferisce specializzarsi in psichiatria piuttosto che giocare a scacchi. Motivazione ufficiosa: è convinto, con la "guerra fredda" in pieno svolgimento, che i tre sovietici si sarebbero coalizzati contro di lui (probabilmente il più forte fra i partecipanti) e avrebbero fatto in modo di far vincere uno di loro (probabilmente Botvinnik).
La Federazione cerca di sostituire Fine col brillante (ma non straordinario) giocatore argentino Miguel Najdorf, che si è messo in luce durante e dopo la guerra; costui rifiuta, probabilmente perché non ha più tempo per prepararsi adeguatamente, e il supertorneo si disputa con un giocatore in meno. Tre scacchisti su cinque sono sovietici e le previsioni di Fine si avverano: Keres (il più vulnerabile, a causa dei suoi trascorsi "collaborazionisti") perde tutti i suoi incontri con Botvinnik, che vince a mani basse e può permettersi di "risparmiare" Smyslov, che infatti arriva secondo. Keres è terzo ex-aequo col volenteroso Reshevsky. Ultimo un Euwe 47enne, da tempo in declino e che perde quasi tutte le partite.
Inizia così il regno di Botvinnik, non senza polemiche. Yuri Averbakh, presidente della federazione sovietica tra il 1972 e il 1977, e presente a tutti i più importanti eventi scacchistici del dopoguerra, nega che ci siano stati accordi per far vincere Botvinnik nel 1948; o meglio, sostiene che un tentativo in tal senso venne fatto, ma Botvinnik si oppose. Ma anche se Averbakh attribuisce i problemi di Keres alla sua debolezza psicologica, una lettura più attenta delle sue dichiarazioni rivela che qualche pressione sul giocatore estone dev'essere stata fatta. E a scacchi basta molto meno per perdere la concentrazione e qualche partita. Keres, vere o false che siano queste speculazioni, non arriverà mai a sfidare il campione in carica (peraltro sempre Botvinnik), spesso mancando di pochissimo la vittoria nel torneo dei Candidati: debolezza psicologica o continue pressioni?
La Federazione, una volta iniziata la gestione del massimo titolo, si fa carico di organizzare una serie di tornei di qualificazione, ponendo fine, una volta per tutte, alle trattative perenni e ai tentativi di evitare avversari scomodi. I tornei culminano nel cosiddetto "torneo dei Candidati", giocato da quelli che dovrebbero essere i migliori giocatori in circolazione, campione del mondo escluso. Il primo torneo si gioca nel 1950, con dieci giocatori presenti: i più qualificati Keres e Smyslov soccombono di fronte al meno quotato David Bronstein, un giocatore emergente che non solo arriva così a sfidare Botvinnik (nel 1951), ma quasi lo batte! Il loro match si chiude con 5 vittorie per parte e 14 patte. Il pareggio (tra l'altro strappato nel penultimo incontro dopo uno strano errore di Bronstein) consente a Botvinnik di mantenere il titolo, ma aumenta i dubbi sul suo effettivo valore e su possibili "aiuti" da parte della dirigenza sovietica. La situazione si ripete nel 1954: Smyslov, che ha vinto il torneo dei Candidati su altri 14 giocatori (fra i quali Bronstein, il solito Keres, Reshevsky e Najdorf) pareggia il match con Botvinnik: 7 vittorie per parte e 10 patte. Il campione sovietico, preoccupato di perdere il titolo da un momento all'altro, fa in modo che la Federazione gli conceda, se questo dovesse accadere, un match di rivincita da giocarsi l'anno seguente. Stavolta persino Averbakh non ha dubbi in proposito. E il match di rivincita si rende necessario: Smyslov, in costante crescita, vince nuovamente il torneo dei Candidati nel 1956 (davanti a Keres, tanto per cambiare, e agli emergenti Spassky e Petrosian) e infine supera Botvinnik l'anno seguente, con 6 vittorie a 3 e 13 patte.
Ma arriva il match di rivincita. Forse Smyslov ha qualche problema di salute, forse Botvinnik tira fuori le unghie e si prepara come mai nessuno prima: fatto sta che si riprende il titolo con una partenza fulminante (3 vittorie nei primi 3 incontri) e un bilancio finale di 7 vittore a 5 e 11 patte. Smyslov, deluso, esce dall'elite scacchistica. Due anni dopo emerge però un giocatore dal talento straordinario e dal gioco atipico: il lettone Mikhail Tal, che verrà soprannominato il "mago di Riga". Dotato di uno stile offensivo come non si vedeva dall'ottocento, Tal ricorda quell'epoca anche nei comportamenti bizzarri (acclamato scacchista e pianista, non è in grado di accendere un fornello o di guidare la macchina). Ma la sua classe è tale che, dopo aver dominato il torneo dei Candidati del 1959 (secondo, ancora una volta, Keres), l'anno dopo demolisce Botvinnik per 6 vittorie a 2 e 13 patte. Stavolta per il vecchio campione sembra proprio finita.
Ma Tal ha un punto debole. Fuma una sigaretta dopo l'altra, beve e fa uso di morfina (anche nella rigida Unione Sovietica tutto è concesso a un grande scacchista). Questo non influisce sul suo rendimento, ma la sua salute ne risente pesantemente. Al momento di giocare il match di rivincita i reni di Tal danno i primi segni di cedimento. Viene chiesto un rinvio di due mesi. Botvinnik, che ben conosce il suo avversario, acconsente, ma solo a patto che siano i medici di Mosca, e non di Riga, a certificare le cattive condizioni di salute del suo avversario. Tal, punto nell'orgoglio, decide di giocare... e perde. 10 vittorie a 5 e 6 patte: il lettone appare irriconoscibile e il titolo torna al cinquantenne Botvinnik.
Si arriva così al torneo dei Candidati del 1962. Tal è l'ovvio favorito, ma la sua fama è oscurata da quella del giovane americano Robert "Bobby" Fischer (al suo secondo tentativo), astro nascente dello scacchismo internazionale e primo giocatore occidentale a insidiare dopo molti anni il predominio dei sovietici. Ma dopo che Tal viene costretto al ritiro per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, Fischer non riesce a ingranare: i tre giocatori sovietici ancora in gara, vale a dire il solito Keres, l'armeno Tigran Petrosian, in crescita da molti anni grazie a uno stile di gioco chiuso ma efficace, e l'ucraino Efim Geller, altro giocatore emergente anche se non particolarmente brillante, finiscono per pattare tutti gli incontri fra di loro, risparmiando energie per battere l'americano, che infatti terminerà al quarto posto. Al primo, con un margine ridottissimo, si piazzerà Petrosian. Le polemiche sono interminabili: Fischer, che già dà segni di paranoia ed è stato in cura da quel Reuben Fine pure vittima dei sovietici nel 1948, accusa questi ultimi di "combine" e rinuncia a competere nel ciclo successivo nonostante la Federazione decida di trasformare il torneo dei Candidati in una serie di match a eliminazione diretta. Averbakh confermerà l'esistenza dei famosi accordi, pur negando che avessero lo scopo specifico di eliminare Fischer; in quanto a Tal, le sue condizioni di salute non gli consentiranno più di competere ai massimi livelli e, nonostante gli venga asportato un rene nel 1969, continuerà a declinare lentamente sino alla morte, sopraggiunta nel 1992 a soli 56 anni. Il titolo mondiale passerà nelle mani di Petrosian, che nel 1963 batte definitivamente Botvinnik per 5 vittorie a 2 e 15 patte. La Federazione, forse indignata per quanto accaduto a Tal nel 1961, ha abolito il match di rivincita. Botvinnik, per protesta , abbandona il gioco e si dedica alla preparazione dei giovani talenti e alle ricerche sull'intelligenza artificiale, nella speranza di creare un programma in grado di giocare a scacchi davvero bene. I suoi tentativi, andati avanti per molti anni, si riveleranno inutili quando l'approccio basato sulla "forza bruta", grazie ai progressi dell'hardware, si dimostrerà migliore. In quanto a Keres, giunto all'età di 45 anni, comincia a sua volta a declinare. Una nuova generazione di scacchisti, a metà degli anni '60, domina ormai la scena.
Il successivo torneo dei Candidati, giocato nel 1965 con la formula dell'eliminazione diretta, vede il successo di un altro scacchista emergente: il sovietico Boris Spassky, dal gioco brillante e dal talento indiscusso, ma non così grande da poter battere il solido (nel calcio direbbero "catenacciaro") Petrosian: questi prevale di un soffio, nel 1966, per 4 vittorie a 3 e ben 17 patte. Al secondo tentativo, nel 1969, Spassky riesce a superare l'armeno, dopo aver battuto l'ennesimo giocatore sovietico, il non più giovane Victor Korchnoi, nella finale del torneo dei Candidati. Korchnoi, giocatore fortissimo ma sino allora rimasto nell'ombra dei suoi colleghi, aveva già partecipato al torneo dei Candidati del 1962, ma non si era prestato ai famigerati accordi che avevano coinvolto Petrosian, Keres e Geller. Da questo momento diventerà uno dei protagonisti della scena scacchistica.
Liquidato non senza fatica Petrosian (6 vittore a 4 e 13 patte), Spassky attende la sfida di Bobby Fischer, che tornato a gareggiare seriamente fa piazza pulita di tutti gli avversari incontrati e arriva al match per il titolo, nel 1972, da favorito. Ormai vittima di paranoie e ossessioni varie, l'americano avanza pretese assurde e si lamenta per problemi inesistenti: dopo essersi suicidato nel primo incontro e aver perso il secondo per forfait, è solo la sportività di Spassky (che non vuole vincere per abbandono) e l'intervento di Henry Kissinger che inducono Fischer a impegnarsi seriamente: la "sfida del secolo" lo vede vincitore, con 7 vittorie a 3 e 11 patte. E' l'inizio di un regno indiscusso? Purtroppo no. Aver soddisfatto le sue ambizioni "svuota" del tutto Fischer, che smette di giocare e cerca di imporre condizioni inaccettabili per difendere il titolo nel 1975. Dichiarato "decaduto" dalla Federazione, l'americano ricompare solo nel 1992, dopo essere finito in miseria, e "difende il titolo" contro Spassky, riuscendo anche a violare l'embargo economico contro la Serbia (dove si gioca il match). Costretto da allora a vivere in esilio, il suo tracollo mentale si accentua, e nelle sue interviste smette di parlare di scacchi per dedicarsi a farneticazioni antisemite (tra l'altro nega l'Olocausto) ed antiamericane, arrivando infine a esaltare gli attentati dell'11 settembre e a scrivere a Bin Laden per congratularsi. Dopo aver passato molti mesi in carcere in Giappone, muore in Islanda qualche anno fa, solo e senza più amici.
Spassky, perso il titolo nel 1972, declina inesorabilmente, come Tal e Petrosian prima di lui. Nell'Unione Sovietica si fanno largo Korchnoi e il giovane Anatoly Karpov, che nel 1974 giocano la finale del torneo dei Candidati. Karpov ne esce vincitore, ed è a lui che viene assegnato il titolo mondiale tolto a Fischer. La decisione suscita lo scontento generale: Karpov è giovane e semisconosciuto e nessuno lo ritiene un degno campione del mondo. Ciò nonostante accade l'incredibile: una vittoria dopo l'altra il giovane sovietico diventa il nuovo dominatore del mondo scacchistico, già a partire dal 1975, e non manca chi, oggi, lo considera tra i più forti scacchisti di sempre. Tuttavia il suo dominio viene contestato da Korchnoi che, convinto di venire sistematicamente ostacolato dalla dirigenza sovietica in favore di scacchisti più "ortodossi" politicamente, fugge in Occidente nel 1976. Bollato come "rinnegato" e "traditore", Korchnoi diventa rapidamente il secondo giocatore al mondo, pur boicottato da tutti gli scacchisti sovietici (ai quali è permesso di incontarlo soltanto nel torneo dei Candidati). Confermando la sua forza, Korchnoi arriva nel 1978 al match per il titolo (dopo aver superato Spassky nella finale dei Candidati), che si gioca a Baguio City, nelle Filippine, grazie agli sforzi di un appassionato scacchista locale: Florencio Campomanes, amico dell'allora presidente Ferdinando Marcos. Durante il match ne succedono di tutti i colori, con entrambi i giocatori che cercano di disturbarsi e ostacolarsi in tutti i modi, ricorrendo persino a parapsicologi, indulgendo quasi ogni giorno in ripicche e vendette, e di fatto rendendo la vita impossibile agli arbitri. Su questo match, chiusosi a favore di Karpov con 6 vittorie a 5 e 21 patte, sono stati scritti diversi libri. Inoltre comincia qui la campagna di stampa dello scacchismo anglosassone, capeggiata dal secondo di Korchnoi, l'inglese Raymond Keene, contro l'Unione Sovietica e i suoi dirigenti scacchistici. Questa campagna, lungi dal giovare alla causa di Korchnoi, finirà per minare la credibilità dell'intero movimento scacchistico.
Karpov, dopo aver mantenuto il titolo, diventa sempre più forte; il suo dominio, a mano a mano che Korchnoi, ormai prossimo ai 50 anni, inizia a declinare, si accentua. Ancora nel 1980 quest'ultimo rivince il torneo dei Candidati, battendo in finale il talentuoso ma fragile dilettante Robert Huebner, ultimo esponente di quella scuola tedesca un tempo invincibile. Ma il Korchnoi che gioca contro Karpov nel 1981, a Merano, sembra ormai rassegnato alla sconfitta. Tra l'altro suo figlio, rimasto in patria, è stato arrestato e rischia di essere deportato in Siberia. Stavolta Karpov vince senza difficoltà (6 vittorie a 2 e 10 patte) e pochi mesi dopo il figlio di Korchnoi può raggiungere il padre in Occidente. L'esule sovietico scompare lentamente dalle scene, anche se continua a giocare con buoni risultati sino ad 80 anni e non sembra - ancora oggi - avere intenzione di ritirarsi. Karpov, viceversa, sembra prossimo al capolinea: un giovanissimo scacchista dotato di un talento incredibile, pari a quello di Fischer, e dallo stile di gioco brillante ed offensivo - come Tal, ma ad un livello ancora superiore - si affaccia sulla scena: è Garry Kasparov, appena 18enne quando Karpov si conferma campione del mondo a Merano.
Ma il cammino del nuovo fuoriclasse inizia in salita: prima di arrivare alla finale dei Candidati deve vedersela con Korchnoi, e per di più negli Stati Uniti. Per i sovietici (in odore di boicottaggio olimpico) è decisamente troppo, e Kasparov è costretto a dare forfait. La stampa occidentale, e in particolare quella anglosassone (con Keene in prima linea) grida al complotto: si ritiene che la dirigenza sovietica voglia favorire ad ogni costo Karpov, diventato un eroe della patria dopo le vittorie contro Korchnoi e molto influente anche a livello politico. Quale modo migliore, per togliere di mezzo l'astro nascente Kasparov, che costringerlo al forfait con una scusa? Ma incredibilmente, dopo lunghe trattative, i sovietici ci ripensano e presentano persino le loro scuse alla Federazione e a Korchnoi (al quale viene tolto il boicottaggio). Si gioca a a Londra, e Kasparov vince facilmente. Nell'autunno del 1984 inizia l'attesissimo match contro Karpov: entrambi i giocatori sono in piena forma, ed entrambi sono tra i più forti di sempre. Solo il match tra Capablanca e Alekhine, e forse quello tra Fischer e Spassky, è paragonabile a questo.
Kasparov sembra favorito: la sua ascesa è stata inarrestabile, e nessuno dubita di trovarsi di fronte a un nuovo dominatore. Ma Karpov, più esperto e meglio preparato, ha rapidamente la meglio, e si porta ben presto in vantaggio per 4 vittorie a 0, e poi addirittura per 5 a 0. Considerando che il match si vince alla sesta vittoria, i giochi sembrano fatti. Kasparov si mette sulla difensiva, contrariamente al suo stile di gioco; stranamente anche Karpov fa la stessa cosa, forse ossessionato dall'idea di vincere per 6 a 0, cosa mai successa in precedenza nel campionato del mondo. Di conseguenza il match si trascina per mesi, con una serie infinita di patte rapide e noiose che stancano pubblico e giornalisti. Alla fine lo stress si fa sentire, ed è Karpov a cedere per primo: Kasparov rimonta sino al 5-3, poi, con una decisione a sorpresa, il presidente della Federazione interrompe il match e ne programma un altro per l'autunno successivo, col punteggio che dovrà riprendere da 0-0. Chi è il presidente? Quel Campomanes che aveva organizzato il match del 1978 e che è diventato molto amico di Karpov, riuscendo a raggiungere il vertice della Federazione nel 1982. Con questa decisione lascerà un segno indelebile nella storia degli scacchi.
I complottisti si scatenano. La stampa occidentale ritiene, unanime, che la decisione di Campomanes sia un tentativo di favorire Karpov stroncando sul più bello la rimonta di Kasparov. Poco conta che, per compensare quest'ultimo, il punteggio venga azzerato (tutti danno per scontato che Karpov avrebbe perso una partita dopo l'altra), che lo stesso Karpov protesti contro la questa decisione e che Kasparov finisca per accettarla. Lo scandalo è enorme, e per la prima volta dai tempi di Fischer notizie riguardanti gli scacchi compaiono sulle prime pagine dei giornali. Keene scrive dei libri sulla vicenda. Agli occhi di Kasparov, che si convince facilmente dell'esistenza di un complotto contro di lui, Campomanes diventa "il" nemico da abbattere.
Dopo molti anni da questa decisione viene da chiedersi se davvero ci fosse del marcio in Danimarca o se, banalmente, Campomanes non fosse convinto che una vittoria per "sfinimento" e non per superiorità tecnica si sarebbe rivelata controproducente per il mondo scacchistico. Azzerare il residuo vantaggio di Karpov dev'essergli sembrato un compenso più che sufficiente per evitare le polemiche, tanto più che, ritenendo forse eccessivo tale azzeramento, al campione in carica viene anche concesso un match di rivincita nel caso dovesse perdere il titolo. Mai calcoli furono più sbagliati, e gli scacchi pagheranno a caro prezzo una decisione comunque discutibile.
Nell'autunno del 1985 Kasparov riesce infine a prevalere sul suo avversario (5 vittorie a 3 e 16 patte), e l'anno seguente si aggiudica anche il match di rivincita (5 vittorie a 4, 15 patte). Questo impedisce a Karpov di giocare il torneo dei Candidati, vinto dall'emergente sovietico Andrei Sokolov (che si rivelerà una meteora), ma Campomanes ha previsto questa eventualità: Sokolov gioca uno spareggio con Karpov, il quale vince facilmente e quindi disputa un quarto match con Kasparov nel 1987. Contro pronostico, Karpov va vicinissimo a recuperare il titolo, portandosi in vantaggio con una vittoria nella penultima partita; ma Kasparov, costretto a vincere l'ultimo incontro, dimostra una classe superiore e riesce nell'impresa, mantenendo il titolo in virtù del pareggio (4 vittorie per parte e 16 patte). Il ciclo mondiale sembra tornare alla normalità, e il match successivo si disputa nel 1990: lo sfidante, per l'ennesima volta, è Karpov, che ha vinto il torneo dei Candidati superando il coetaneo olandese Jan Timman in finale. L'olandese, da molti anni nell'elite scacchistica, è alla sua prima grande occasione dopo una carriera costellata di alti e bassi. Il match per il titolo vede l'ennesima conferma di Kasparov, nuovamente di stretta misura (4 vittorie a 3 e 17 patte): il dominio dei due giocatori sovietici (o meglio, russi, dato che in quel periodo l'URSS si va dissolvendo) sembra inattaccabile. E' quindi una enorme sorpresa la vittoria, nel successivo torneo dei Candidati, del giovane inglese Nigel Short, che supera dapprima Karpov e quindi Timman, per arrivare al match per il titolo nel 1993. A questo punto, il disastro.
I regolamenti della Federazione prevedono che la scelta della città in cui disputare il match per il titolo venga effettuata di comune accordo con i due giocatori; Campomanes sceglie Manchester, ma non si consulta con Short, pensando forse che costui, essendo inglese, non avrebbe avuto alcuna obiezione. Ma dietro Short si intravede la longa manus di Raymond Keene e della stampa anglosassone, che non vedono l'ora di creare qualche problema a Campomanes: l'errore formale da questi commesso viene sfruttato per rifiutare la scelta di Manchester e giocare invece a Londra, al di fuori della Federazione (alla quale non verrebbe quindi passata una parte del premio in denaro, come prevedono i regolamenti). Kasparov soffia sul fuoco; anzi, è lui stesso a incitare il titubante Short a portare sino in fondo la "linea dura". Campomanes, furibondo, "squalifica" i due giocatori e organizza in fretta e furia un mondiale "ufficiale" tra Karpov e Timman. Lo scisma è irrimediabile e nel 1993 il titolo si spezza in due. Kasparov batte Short con relativà facilità (6 vittorie a 1 e 13 patte), Karpov non ha problemi a confermare la sua supremazia su Timman (6 vittorie a 2 e 13 patte).
La situazione peggiora. Kasparov fonda un'organizzazione alternativa alla Federazione, e nel 1995 si svolgono due tornei dei Candidati, in genere con gli stessi giocatori. Dalla parte di Kasparov vince il giovane indiano Viswanathan Anand, dallo stile incolore ma solido, che alla fine dell'anno viene battuto dal fuoriclasse russo per 4 vittorie ad una, e 13 patte; dalla parte di Karpov si afferma il giovane americano di origine russa Gata Kamsky, la cui ascesa è stata così rapida da ricordare quella dello stesso Kasparov. Tale ascesa, tuttavia, non è dovuta, come nel caso del russo, a una classe superiore, ma semplicemente a una dedizione quasi maniacale, per di più imposta da un padre tiranno e prevaricatore. Nel 1996 Karpov approfitta della fragilità psicologica del suo avversario per batterlo senza problemi (6 vittore a 3 e 9 patte) e mantenere il "titolo". Kamsky collassa, e come Fischer prima di lui abbandona l'attività scacchistica. Ci vorranno otto anni per vederlo giocare di nuovo, anche se non agli stessi livelli di prima.
A questo punto tutto sembra sfasciarsi. Gli scacchi perdono credibilità e gli sponsor se ne vanno. Né la federazione né Kasparov riescono più ad organizzare un torneo dei Candidati; non è chiaro chi sia il campione del mondo e come debba essere scelto il suo sfidante. Campomanes, nel frattempo, ha fatto un passo falso di troppo (ha gestito con troppa disinvoltura i soldi della Federazione) ed è stato sostituito dal miliardario russo Kirsan Ilyumzhinov, personaggio controverso come tutti coloro che si sono arricchiti rapidamente negli anni seguiti al crollo dell'URSS. Ilyumzhinov è pieno di idee innovative, non sempre brillanti, e inizia con lo stravolgere il campionato del mondo facendolo diventare un torneo a eliminazione diretta fra 128 giocatori, formula inusuale e aspramente contestata da tutti gli esperti (si dice che fosse un modo per attirare l'attenzione di Fischer). La prima edizione, giocata nel 1998, è vinta dal solito Karpov, peraltro ammesso direttamente alla finale. Nel 1999 il privilegio gli viene tolto e, come Botvinnik a suo tempo, anche Karpov non partecipa in segno di protesta. Arrivato a 48 anni, d'altra parte, il suo gioco non è più solido come una volta. Lentamente ma inesorabilmente, Karpov declina e abbandona l'attività, almeno ai massimi livelli. In quanto al torneo della Federazione, viene vinto dallo sconosciuto russo Alexander Khalifman, confermando l'inattendibilità della formula a eliminazione diretta. Nel 2000 vince Anand; nel 2002 il giovanissimo e ambizioso giocatore ucraino Ruslan Ponomariov. Dalla parte di Kasparov, le cose si fanno complicate. Dapprima il russo cerca di organizzare un match fra Anand e il suo giovane ma forte allievo Vladimir Kramnik, all'epoca i due più forti giocatori dietro di lui. Anand, sapendo di non avere comunque scampo contro Kasparov, si tira indietro. Kasparov lo sostituisce col mediocre lettone Alexei Shirov, che sta attraversando un periodo di grande forma. Ed è proprio Shirov ad avere la meglio su Kramnik, giocatore forte in torneo ma debole nei match. Purtroppo Shirov non è uno sfidante credibile per Kasparov, e il match per il titolo non si gioca per mancanza di sponsor, e quindi di un adeguato premio in denaro. Alla fine Kasparov si rassegna a giocare contro Kramnik; tuttavia, pensando di fare un sol boccone del suo allievo, e oltretutto angosciato dall'insolubile contrasto con la Federazione e da problemi personali, si presenta del tutto impreparato. Kramnik, in quella che sembra una riedizione del lontano match fra Lasker e Capablanca, vince a sorpresa per due vittorie a 0 e 13 patte.
Mentre Kasparov, assetato di vendetta, chiede invano una rivincita (Kramnik, come a suo tempo Alekhine con Capablanca, sa che in questo caso non avrebbe scampo), il mondo scacchistico continua a ritrovarsi con due campioni del mondo, per di più poco credibili. Le pressioni per risolvere questa situazione conducono ai cosiddetti "accordi di Praga", nel maggio del 2002: dopo lunghe e convulse trattative si decide che il campione "classico", vale a dire Kramnik, difenderà il titolo contro uno sfidante "qualificato" (verrà scelto l'ungherese Peter Leko, che in luglio vince il grande torneo di Dortmund), mentre quello della Federazione, Ponomariov, difenderà il suo titolo contro Kasparov. Infine i due vincitori giocheranno fra di loro in un match di riunificazione. L'esultanza ha breve durata: Kramnik impiega oltre due anni per trovare chi sponsorizzi il poco credibile match fra lui e il mediocre Leko, e lo pareggia con estrema fatica, vincendo l'ultimo incontro e conservando così il "titolo"; Ponomariov, dall'altro lato, non ha intenzione di andare al massacro contro Kasparov e accampa una scusa dopo l'altra sino a far saltare il match. Ilyumzhinov organizza allora un altro "mondiale", con la consueta formula ad eliminazione diretta, per trovare un sostituto: ma, in una delle sue "brillanti" idee, lo organizza nella Libia di Gheddafi, da poco riaccolta nella comunità internazionale dopo la consegna degli attentatori di Lockerbie. Di conseguenza nessun giocatore israeliano o ebreo vi partecipa, nonostante Gheddafi abbia accettato di garantirne l'incolumità, e si tirano fuori anche molti scacchisti tra i più forti, solidali con Ponomariov e poco desiderosi di farsi battere da Kasparov. Questi, un po' per invidia, un po' per aver provocato la scissione nel mondo scacchistico, è ormai inviso alla maggior parte dei colleghi. Molti anni dopo ammetterà tristemente che quella di dividersi dalla Federazione è stata la peggior decisione della sua vita.
Il "torneo di Gheddafi" viene vinto dallo sconosciuto usbeko Rustam Kasimdzhanov, a ennesima conferma di una formula sbagliata. Di conseguenza, come già accaduto con Shirov, non si trovano sponsor per il troppo scontato match con Kasparov. Questi, esasperato, abbandona l'attività scacchistica nel marzo del 2005 per dedicarsi (per ora senza successo) alla politica. Può essere che dietro la sua decisione ci sia la speranza di veder diventare campione del mondo uno scacchista suo amico, che potrebbe accettare senza problemi una sfida diretta per il titolo: è in quest'ottica che potrebbe essere vista la sua decisione di allenare il giovane talento norvegese Magnus Carlsen, come pure le sue critiche quando quest'ultimo ha rinunciato a giocare nel torneo dei Candidati. Ma gli anni passano, Kasparov si avvicina alla cinquantina, e l'occasione non si è ancora presentata.
Dopo il ritiro di Kasparov Ilyumzhinov non si perde d'animo, e organizza un supertorneo ottagonale tra i più forti giocatori in circolazione (incluso Kasimdzhanov) allo scopo di trovare finalmente uno sfidante credibile per Kramnik. Nell'ottobre del 2005 si gioca in Argentina, e vince a sorpresa il bulgaro Veselin Topalov, giocatore non più giovanissimo ma che ha compiuto da poco un notevole (e sospetto) salto di qualità. Topalov appare così forte che quando finalmente gioca il match di riunificazione contro Kramnik (ottobre 2006), è considerato il favorito. Invece è Kramnik a vincere, sia pure dopo che il match si è chiuso in parità, con 3 vittorie per parte e 6 patte, e si sono resi necessari quattro incontri a cadenza rapida per sbloccare la situazione. Ma ad attirare l'attenzione sono le polemiche scoppiate dopo il quarto incontro: Topalov, che sta perdendo per 3-1, accusa Kramnik di recarsi in bagno troppo spesso, forse allo scopo di ricevere assistenza da qualche programma (viene citato Fritz 9). Kramnik, sdegnato, non si presenta a giocare la quinta partita ed è necessario smontare il bagno per far riprendere il match. Topalov non sembra convinto e continua a polemizzare ancora oggi; Kramnik confesserà, diversi anni dopo, di avere utilizzato il bagno per poter fumare una sigaretta dopo l'altra all'insaputa di sua moglie. Tra i due giocatori rimane una profonda antipatia, senza contare che permangono dubbi anche su Topalov, il cui salto di qualità si verifica proprio quando i programmi iniziano a battere anche i giocatori più forti, e il cui ritorno nel limbo scacchistico coincide con l'adozione di provvedimenti "anti-cheating" in tutti i tornei più importanti.
Entusiasta per le molte partite interessanti giocate in Argentina, Ilyumzhinov, ora che il titolo è unificato, organizza un altro supertorneo, cambiando per l'ennesima volta i delicati meccanismi che regolano il campionato del mondo: il torneo si disputa nel settembre del 2007 in Messico, e vi partecipano i più forti giocatori in circolazione, incluso Kramnik, che tuttavia chiede e ottiene di poter giocare un match col vincitore, nel caso non fosse lui stesso. Così accade: il vincitore è il redivivo Anand, che può così giocare contro Kramnik a Bonn, nell'ottobre del 2008. Topalov, nel frattempo, ha chiesto a sua volta la rivincita a Kramnik, e non ha giocato in Messico; la confusione si accresce in quanto nello stesso periodo la Federazione organizza anche il solito torneo a eliminazione diretta, stavolta allo scopo di designare uno sfidante ufficiale. Giocato nel dicembre del 2007, questo torneo viene vinto da un altro redivivo: l'americano Kamsky. Vi sono quindi, a inizio 2008, ben quattro pretendenti al titolo, che appare lungi dall'essere veramente unificato. Ilyumzhinov, armato di soldi e di pazienza, fa giocare dapprima Anand e Kramnik, con l'indiano che prevale per 3 vittorie ad una e 7 patte, quindi Topalov e Kamsky nel febbraio del 2009, col bulgaro che prevale per 2 vittorie ad una e 5 patte. Infine, a maggio del 2010, Anand sconfigge Topalov con 3 vittorie a 2 e 7 patte, ottenendo il successo decisivo proprio nell'ultimo incontro. Dopo 17 anni la scissione ha fine e il titolo torna finalmente nelle mani di un degno campione; i tornei di qualificazione riprendono senza contestazioni.
Tutto risolto, dunque? Forse no. A maggio del 2011 si gioca, per la prima volta dopo 15 anni, il torneo dei Candidati. Approfittando di match troppo brevi e dell'assenza del norvegese Magnus Carlsen, nuovo fenomeno dello scacchismo mondiale, l'outsider Boris Gelfand, un giocatore israeliano di origine russa, prevale fortunosamente su gente del calibro di Kramnik, Topalov, Kamsky e altri giovani emergenti. A 43 anni, e dopo una carriera relativamente modesta, Gelfand "pesca il jolly", come Short e Sokolov prima di lui, e diventa protagonista, nel maggio del 2012, di un mediocre match contro Anand (1 vittoria per parte e 10 patte abbastanza noiose), che il campione indiano vince in extremis solo grazie alle partite di spareggio. Cosa mai capitata in precedenza in un mondiale di scacchi, per quanto l'effettiva parità finale (col detentore a mantenere il titolo) non sia certo una novità.
Conscia dell'importanza di recuperare Carlsen e di ridare credibilità al processo di selezione dello sfidante, nella primavera del 2013 la Federazione ripristina, dopo 50 anni, la vecchia formula aborrita da Fischer: un torneo ottagonale fra i giocatori più forti in circolazione. Alla fine del torneo è proprio il ragazzo norvegese a uscirne vincitore, sia pure per il rotto della cuffia: un cedimento nelle ultime partite lo lascia a pari merito col redivivo Kramnik, sul quale prevale solo per il maggior numero di partite vinte. Nel giro di qualche mese, o al più di un anno, si saprà se gli scacchi avranno un nuovo campione degno dei grandi del passato: il talento di Carlsen è così grande da ricordare quello di Capablanca, al quale viene spesso accostato sia per lo stile di gioco (è fortissimo nei finali come lo era il grande cubano) sia per la voglia di vivere alla giornata senza studiare troppo (per questo non ama i match, che richiedono una preparazione accurata). Ma ormai, tramontata l'epoca dei match lunghissimi (che non piacciono agli sponsor) e delle lotte politiche, il gioco sembra avviato sulla via del tramonto, né Carlsen sembra avere la personalità dei grandi scacchisti del passato, anche recente. Il colpo di grazia potrebbe venire dallo strapotere dei computer, che ormai analizzano in diretta le partite dei grandi tornei, mettendo in evidenza grandi e piccoli errori di ogni giocatore, e riducendo a normali esseri umani quelli che prima erano considerati dei geni. Ma questa è un'altra storia...

Bibliografia essenziale in 20 libri (italiani):

  • I campioni del mondo di scacchi, di Al Horowitz (indispensabile)
  • Paul Morphy: una prospettiva moderna, di Valeri Beim
  • Steinitz: primo campione del mondo, di Jakov Nejstadt
  • Lasker: filosofia della lotta, di Boris Vajnstein
  • La mia carriera scacchistica, di José Capablanca (famosa autobiografia)
  • Alekhine-Capablanca Buenos Aires 1927, di Maksim Timofeev
  • Alekhine: una vita per gli scacchi, di Alexander Kotov
  • I miei grandi predecessori volume 1: da Steinitz ad Alekhine, di Garry Kasparov
  • Parola di Maestro!, di Fabio Molin (torneo AVRO del 1938)
  • Il mondo e gli scacchi di Mikhail Botvinnik, di Vladimir e Isaac Linder
  • La carriera di Mikhail Tal, di Aleksandr Koblenz
  • I miei grandi predecessori volume 2: da Euwe a Tal, di Garry Kasparov
  • I miei grandi predecessori volume 3: da Petrosjan a Spasskij, di Garry Kasparov
  • Fischer: analisi di un genio, di Robert Wade e Kevin O'Connell
  • Bobby Fischer va alla guerra, di John Eldinow e David Edmonds (sul match del 1972)
  • I miei grandi predecessori volume 4: Fischer e le stelle dell'Occidente, di Garry Kasparov
  • Il mondo e gli scacchi di Anatoly Karpov, di Vladimir e Isaac Linder
  • I miei grandi predecessori volume 5: Korcnoj, Karpov, di Garry Kasparov
  • Karpov-Kasparov, di Raymond Keene e David Goodman (il primo match)
  • Sfida senza fine, di Garry Kasparov (autobiografia)