Tra le molte persone che ancora nel 1995 spedivano i loro racconti a McLink, c'era una ragazza ligure, Nadia Balanzoni, che inviò il racconto fantasy "Lo scriba caro al faraone", ambientato nell'antico Egitto. Nonostante i numerosi apprezzamenti ricevuti e le idee che diceva di avere, Nadia non si decideva a scrivere qualcos'altro. Io, che all'epoca ero tra i suoi amici "virtuali", ebbi l'idea di scrivere un bizzarro resoconto di un mio incontro con le antiche divinità egizie - ispirato apertamente al leggendario fumetto "La fiera degli immortali" dell'artista serbo Enki Bilal - nella speranza di stimolare la sua creatività. Venne fuori qualcosa di bizzarro, che non so neanche se definire "racconto", e che, pieno di riferimenti a fatti e persone in genere noti a me solo, è anche di non facile comprensione.


PIRAMIDI

Insomma, ieri (lunedì) me ne vado in giro tutto contento con la tua bellissima lettera, pensando a quanto ancora io debba migliorarmi per avvicinarmi solamente alla naturalezza del tuo stile, e la sera sono di nuovo a casa, intento ad armeggiare col rullo, in balcone.
Tu dirai: cos'è il rullo? E' una cyclette costruita con la bicicletta, e ti assicuro che mi serve, e molto! (se hai sentito G! ...)
Insomma, torno in casa a cercare le pinze per stringere alcuni bulloni, torno fuori, e vedo, sulla ringhiera del balcone, questo gatto, fermo in un angolo, che mi fissa.
Ora, non c'è niente di strano nel vedere un gatto su una ringhiera, ma ti posso giurare che sulla _mia_ non ne avevo mai visti. E poi questo mi fissava. E poi, da dove era arrivato?
Insomma, io lo guardo, e all'improvviso si alza di scatto, salta giù vicino ai miei piedi, e prima che io riesca a girarmi è sparito dentro la mia camera. E io non ho mai tenuto animali in casa!
La prima cosa a cui ho pensato è stato "Oddio, il puzzle che sto facendo in soggiorno!". Poi ho cercato di ricordare quali altri oggetti potevano fare una brutta fine, e quando ho deciso che erano troppi, via subito! alla caccia del gatto!
Passo in camera da letto, poi in corridoio, verso il soggiorno, verso il puzzle che sto componendo da mesi. Davanti alla porta della cucina ... e lì mi blocco. Non vedo una tipa che sta frugando nel mio frigo? Con la testa di gatto? E per di più completamente nuda? E che corpo!
Ancora mi chiedo se mi ha colpito di più la testa di gatto o tutto il resto. Insomma, mi fermo, entro in cucina, e non ce la faccio proprio a trattenermi: "Bastet!", grido.
La tipa sussulta, poco divinamente, ma subito si ricompone, e si gira con lentezza studiata, quasi regale.
Beh, immagina: lì in piedi davanti al mio frigo, che mi fissa con quegli occhi da gatto, animaleschi, umani e divini nello stesso tempo, e poi con quel corpo, dico! In una mano teneva una lattina da mezzo litro, nell'altra una tradizionale, con un'aria quasi grottesca, eppure ... eppure in un solo istante la sua divinità mi prende, mi avvolge, mi domina.
"I vicini", mi fa, "adesso è tardi, e lo sai che se gridi si arrabbiano." E che voce melodica e suadente.
"Sì, beh, insomma, ecco, vedi, la Coca Cola costa, possibile che dobbiate sempre passare di qua a saccheggiarmi il frigo?"
"Appunto per questo sono venuta."
"Per saccheggiarmi il frigo?"
"Certo che no", e mi sentivo di crederle nonostante l'apparenza contraria, "certo che no, sono qui perché tu mi dia la formula."
"Caschi male, o divina Bastet. La formula della Coca Cola è segretissima, e mai nessuno è riuscito a scoprirla."
Se dicendo questo ho dato una delusione alla dea, sta' sicura che lei non lo ha dato a vedere.
"Le cose si fanno difficili. Spero tu vorrai venire con me e spiegare la situazione a Thot ed Horus, che lavorano al problema da molti giorni."
"Ogni tuo desiderio è un ordine, o divina."
Vorrei vedere te, con quel corpo davanti ... oops, tu sei una donna, e non puoi capire. Come non detto.
"Però c'è un problema, e non da poco conto."
"Santo cielo, quale?"
"Vedi, di solito per fare avanti e indietro dalla piramide assumiamo la nostra forma animalesca, e poi ci pensano Thot o Horus. Ma tu non puoi trasformarti, e così come sei pesi un po' troppo ..."
Mi sono sentito arrossire. Mi fossi messo a dieta prima, accidenti!
"E' inutile che arrossisci. Peseresti troppo anche se fossi magro come una volta."
"Come fai a sapere che una volta ero magro?"
"Non saresti arrossito."
E un sorrisino è comparso sotto i baffi di Bastet.
"Come fare, allora?"
"Bisognerebbe che tu perda per un po' la tua parte razionale ... prova a credere che tutto questo sia un sogno, che io non sia qui; anzi, che io nemmeno esista, che sia solo un nome che tu hai letto da qualche parte, in un libro della tua infanzia. Pensa che non ci sia nessuna piramide, qui sopra, nessun ibis che ci aspetta svolazzando qui fuori; se credi tutto questo potrai vincere i limiti che il mondo razionale ti ha imposto, e venire con me nella piramide ..."
Puoi immaginare se non desideravo altro! Andare con Bastet nella piramide; il problema era quel corpo davanti a me, così reale e attraente: come potevo deporre la mia razionalità e credere che fosse un sogno?
Poi è successo, all'improvviso, un po' come quando guardi le immagini in 3D: per un po' vedi solo un groviglio di punti, e a un tratto, oplà!, ecco la figura nascosta, chiara e definita, e davanti ai tuoi occhi esistono come due mondi differenti.
Insomma, io vedevo Bastet, io ci credevo, ma poi ho notato di nuovo le due lattine che aveva in mano, una più grande dell'altra, e mi sono detto 'Non ci posso credere'. E l'attimo dopo mi trovavo in due piani diversi, ero ancora in cucina, ma ero anche con Bastet, ed era _differente_; e poi, prima c'era lei, la dea con quel corpo perfetto, e un attimo dopo un gatto che teneva ostinatamente le due lattine tra le zampe, e ancora dopo eravamo in balcone, e poi _per aria_, lei tra le zampe di un ibis, e io da qualche parte, sempre più su, finché un'ombra scura, più scura della notte che incombeva, non ci ha avvolto; e io ho sentito qualcosa di solido sotto i miei piedi, qualcosa che non era più il pavimento di casa mia, e di nuovo c'era Bastet accanto a me, e nessun altro.
Ecco, eravamo in piedi davanti a un'apertura, un portale alto circa 4 metri, dalla forma semplice ma elegante, e tutto intorno un muro, una parete ricoperta di geroglifici, stranamente 'concreti', molto più di quelli che vediamo nei musei o nei film.
E la parete era inclinata, si allontanava da noi due ...
Mi sono reso conto, con un brivido, di essere all'esterno di una piramide alta una cinquantina di metri, una piramide sospesa silenziosamente in aria (perché silenziosamente, poi?), ed io mi trovavo su una sporgenza lunga non più di un metro e larga altrettanto, sospeso nel vuoto (chissà quanto in alto!), di fronte all'ingresso ...
Reprimendo un moto di paura, prima che le vertigini potessero assalirmi, sono corso dentro, seguendo Bastet.

L'interno della piramide era 'strano'. Noi siamo abituati a immaginare cunicoli e camere oscure per ogni dove; invece tutto, all'interno, era largo e spazioso, perfino luminoso. Molto più simile ad un museo di quanto si possa credere.
Le pareti dei saloni che io e Bastet attraversavamo, nel silenzio più assoluto, erano ricoperte di pitture murali al cui confronto quelle della tomba di Nefertari facevano letteralmente schifo. Immagina il ciclo dei morti, o qualsiasi altra rappresentazione di quello che noi pensiamo essere il mondo delle divinità egizie; ma immaginalo ritratto in maniera realistica, in un modo, cioè, che nessuno di noi ha mai visto, e forse ti farai una vaga idea.
Da dove entrava la luce soffusa? E dov'era il tetto dei saloni? La piramide sembrava, vista da dentro, molto più grande dei suoi cinquanta metri.
Il terzo salone, ancora più grande e alto dei precedenti, era occupato in buona parte da un'immensa vasca, alimentata da una semplice fontana al suo centro. Beh, semplice. Diciamo che aveva la forma di un coccodrillo, dalla cui bocca minacciosamente spalancata usciva un piccolo getto d'acqua. Ma oltre la vasca, addossati alla parete opposta, due troni facevano bella mostra di sé, sotto una gigantesca raffigurazione del Sole e della Luna: due troni color mogano, ma con la tipica lucentezza dell'avorio.
O forse, se vogliamo essere meno poetici, due seggioloni scuri, visto che nessuna particolare decorazione, escluse due teste di leone sui fianchi, li adornava.
Bastet, che mi aveva preceduto senza un parola, si immerse silenziosamente nella vasca; immediatamente percepii la sua 'assenza'.
Poi vidi che non era più sola, lì, nell'acqua.
Una inconfondibile testa di sciacallo, su un torace umano e possente, si ergeva accanto a lei.
"Sei dunque arrivato", mi fa 'lui'.
"Sì, grande Anubis", rispondo.
"Sei arrivato con la formula, spero."
Ora, devi sapere che io ho visto tanti sciacalli, in vita mia: ne ho visti in Africa, ne ho conosciuti che avevano sembianze umane; ma 'quello' era così particolare, con un muso e due orecchie incredibilmente lunghe, con una voce profonda che rimbombava, come riflessa dallo specchio d'acqua e amplificata dagli alti soffitti, che le parole faticavano a uscirmi, e la divinità di quella figura si imponeva molto di più di quanto già mi fosse accaduto con Bastet.
Così biascico qualcosa senza senso, ma poi ...
"La formula! Thot e Horus stanno aspettando!" tuona il dio.
Ritrovo di colpo il mio coraggio.
"Grandissimo Anubis, la formula è segreta, come già ho avuto modo di dire alla tua gentile compagna, e nessuno l'ha mai scoperta."
"Non riuscirete dunque mai, voi umani, a comportarvi secondo logica?"
Neanche Anubis lasciava trasparire la delusione, per quanto grande fosse.
"O sommo tra gli dei, è solo per questo che mi hai fatto venire? Se noi umani siamo una ben misera cosa indubbiamente, che dire di chi dovrebbe esserci superiore, ma si incapriccia di una qualsiasi bevanda, che poco o nulla ha di divino ..."
"Che sai tu di cosa è umano e cosa è divino? Come puoi pensare, dal basso delle tue misere capacità, di comprendere i desideri che animano una divinità, desideri, bada, non capricci come tu volgarmente insinui!"
E lo vedo che si alza in piedi, sdegnato, nudo anche lui, e ancora più imponente, con l'acqua poco sopra le ginocchia.
"Grande Anubis, mi stupisco che una divinità debba ricorrere a noi miseri umani per procurarsi ciò di cui ha bisogno."
"Bisogno! Parli tu che ne sei assolutamente schiavo!"
"Ma io sono un misero mortale, oppresso dal lavoro, e ho bisogno della bevanda per consolarmi delle mie sventure."
"Sventure. Cosa sai tu di sventure? Cosa sono i tuoi problemi rispetto all'essenza dell'universo, alla somma trascendenza delle cose, alla natura e all'apparenza del divino? Questioni che mai potrai afferrare, neanche lontanamente."
Rimpiangevo Bastet. Sarà stato quel corpo, ma mi sentivo molto più a mio agio con lei.
"Molte cose ha Thot da rimproverarti, molte cose in cui potresti riuscire meglio. E non solo tu!"
E con un'aria rassegnata, stavolta, si immerge di nuovo nella vasca, cercando consolazione tra le braccia di Bastet.
"Sono mortificato, o immenso. Se potessi aiutarvi, non mi tirerei indietro."
"A che pro vergognarsi? Questi sono i limiti di voi umani, qualcosa a cui neanche gli dei possono rimediare."
E poi, con un sospiro:
"Vedi dunque cosa puoi fare. Thot ed Horus ti aspettano, e molte più cose di quanto immagini ti verranno rimproverate."
E a questo punto, che tu ci creda o no, lui e Bastet si disinteressano del tutto di me, e cominciano ... beh, hai capito! Come se non ci fossi!
Un po' imbarazzato, giro intorno alla vasca, e infilo la porta opposta a quella da cui ero entrato.

Tanto era luminosa e vasta la sala da cui venivo, in cui Anubis e Bastet erano rimasti ad amoreggiare, quanto oscura, seppure altrettanto vasta, quella in cui ero entrato.
Dapprima non riuscii a distinguere quasi nulla, incapace di abituarmi in un colpo solo a quel nuovo ambiente; poi un leggero rumore, una specie di leggero ticchettio alla mia destra, attrasse la mia attenzione.
Ed eccomi di nuovo di fronte a lui, a Thot in forma di ibis, appoggiato a quello che sembrava lo schienale di un trono ancora più vasto di quelli che avevo ammirato nell'altra sala.
Ancora lui, che ticchettava piano col becco, la testa appoggiata stancamente sul braccio; ancora lui, col suo gonnellino, il suo buffo copricapo, e i sandali ormai logori.
"Ti saluto, grande Thot."
"Grzbl."
E cos'era quell'altra figura in fondo alla sala, china su un tavolo ingombro di strumenti familiari e alieni nello stesso tempo?
"Nobile Thot, ho il fondato dubbio che tu mi abbia preso in giro."
"Groan. Altra Coca Cola."
"Insomma, non è il momento!"
"E' sempre il momento. Ma cosa vorresti dire?"
"Non sei forse apparso in sogno anche a Nadia, lamentandoti di me, stavolta, e per di più in forma di babbuino?"
Riesci a immaginare un ibis che sorride? Non credo, e non sperare che io, misero scrittorucolo, riesca a descriverlo!
"Sogno, tu dici. Mi deludi ancora una volta, tu che pretendi di essere così attento ai particolari!"
"Eh?"
Intanto gli strumenti in fondo alla sala si facevano più distinti, mentre i miei occhi andavano faticosamente abituandosi all'oscurità.
"Non di te mi sono lamentato, ma della sua pigrizia nel convincerti a scrivere, innanzitutto."
"E perché non hai parlato di questo con me, l'altra volta?"
Beh, che tu ci riesca o no, ora immagina un ibis sbuffante ...
"Con quella testa dura che ti ritrovi, disperazione di tutti quelli che ti conoscono? Meglio che sia una gentile fanciulla a cercare di convincerti, almeno; non trovi?"
"E' giusto, grande Thot, ma ..."
"In quanto all'aspetto di babbuino, hai presente il freddo che fa da quelle parti? Dovresti pur ricordare che in quello che lei chiama 'sogno' non facevo che rassettarmi compiaciuto la pelliccia! Non è clima adatto a un ibis, quello!"
Ho evitato di ricordargli che anche una scimmia non dovrebbe trovarsi così bene dalle tue parti ...
"Ma perché lei dovrebbe averlo chiamato 'sogno'? Tale era!"
"Eh, continui a deludermi. Eppure tu hai letto e recensito 'Fiaba', almeno così credevo."
"Così è."
"E non ricordi la cosiddetta leggenda degli 'uomini grigi'?"
"Certo che sì, o nobilissimo; ma cosa ha a che vedere questo ..."
"E non ricordi, allora, che gli uomini, almeno quasi tutti, sono diventati incapaci di vedere, di riconoscere certe situazioni, certi personaggi?"
"Vorresti forse dire ..."
"Ebbene sì", e per un attimo lo vedo alzare la testa, recuperando un po' della sua fierezza, "ebbene sì, era tutto vero, il libro, il sogno della tua amica, la mia 'apparizione', i miei discorsi."
Era ormai ben visibile anche la figura seduta in fondo alla sala, forse ignara della nostra presenza, forse silenziosamente in agguato.
"Santo cielo, nobile Thot! Non posso crederci!"
"Tu solo, grazie alla tua razionalità, alla tua mente fredda e calcolatrice non disgiunta da una certa fantasia, puoi vedere le cose come sono nella realtà: la piramide, io, Anubis, Bastet, ... Horus."
"Eh?"
"Tu puoi tutto questo, ma lei, così romantica e sognatrice, crede di sognare ogni volta che mi incontra; certo, se così non fosse non potrebbe scrivere così meravigliosamente, con quella passione e quello stile che fanno di lei la migliore, tra tutti voi che vi affannate a buttare giù qualche riga ..."
"Nadia crede di sognare?"
"Sì, ogni tanto mi reco da lei, ma ai suoi occhi tutto sembra un sogno, con contorno di boschi esotici e fiumi tropicali."
Diciamo che ero più sbalordito di quello che lasciavo trasparire. Anzi, ero così sbalordito che non riuscivo quasi più a parlare.
"Thot, io ..."
"Ora dovresti avere un quadro più chiaro della situazione; ma ora che sai, spero solo che non vorrai deludermi, tu almeno. Visto che lei, ahimé, da tempo non scrive più nulla, e si limita a stimolare la tua fantasia di tanto in tanto. Ti confesso che comincio a disperare, ormai, di vedere più uscire dalla sua penna un altro Scriba, ma tu, con la tua testa dura, il tuo dannato orgoglio ..."
"Grande Thot, hai la mia parola. Ora che so, non lascerò più nulla di intentato, sia per convincere lei a tornare sulla retta via, sia per rimettermi io a scrivere qualcosa di degno, di ..."
"E farai bene, giovane scriteriato! Se quanto ti dissi l'altra volta di Nadia è tristemente vero, non meno gravi e pesanti sono anche le tue mancate promesse: non dovevi scrivere qualcosa per Pasqua?"
"Er ..."
"E occuparti di altri due racconti mettendone a punto la trama?"
"Io ..."
"Hai fatto qualcosa di tutto ciò?"
Il dio gridava quasi, adesso, in piedi sul suo trono, minaccioso e lontano nell'oscurità della sala.
Lentamente, la figura seduta al tavolo si girò verso di noi. Due fenditure rossastre fissarono la scena.
Mentre mi sentivo rabbrividare, trovai ancora la forza di ribattere:
"Perdonami, o sommo Thot! Giuro di abbandonare la mia vita dissoluta, e di tornare alla nobile arte della scrittura non appena rimesso il piede in casa mia! Lavoro o non lavoro!"
E ora fai un ultimo sforzo, e immagina un ibis sorridente e rilassato, che con studiata lentezza tornava a stendersi sul trono.
"Così mi piaci. Finalmente! Ma ora qualcun altro desidera parlarti, ed è ora che tu vada. Anzi, è ora che tu sia convincente, ti avverto."
Ormai rassegnato, mi girai in silenzio verso la figura che ci fissava, attendendo - ormai non potevo più ignorarlo - me, e nessun altro.

Quasi trascinato contro la mia volontà, non potei fare a meno di avvicinarmi alla figura in fondo, che da un po' aveva preso a fissarci in un silenzio che non prometteva niente di buono.
Ma alla fine, che vi fossi spinto da una forza sconosciuta, o dalla mia segreta volontà, mi ritrovai a fissare anche lui, con la sua testa da falco, e due occhi appena aperti, il cui colore rossastro, nell'oscurità vanamente illuminata dai monitor sul tavolo, era realmente inquietante, più di qualunque parola il Dio potesse rivolgermi.
E con una voce metallica, priva di ogni sentimento, il Dio si rivolse a me.
"Qual è la formula?"
Rabbrividii. Dicono che nulla al mondo sia più veloce del pensiero, e in effetti, in quei pochi secondi che precedettero la mia risposta avevo già afferrato con lo sguardo tutto quanto giaceva sull'enorme tavolo, buttato alla rinfusa in una sorta di caos primordiale: due Pentium a 120 Mhz, con stampanti laser e a getto d'inchiostro, monitor da 17 pollici a colori; e poi alambicchi, provette e pentolini di ogni forma e colore, il cui uso, a me digiuno di chimica ormai da tanti anni, era per lo più ignoto. Ma quello che veramente colpiva l'occhio era l'incredibile quantità di lattine di Coca Cola, sparse praticamente per tutto il tavolo, accumulate in qualche angolo, o lasciate per terra a rotolare; tutte, o quasi tutte, aperte e ancora sgocciolanti, ma qualcuna (e non erano poche) letteralmente sventrata da qualche oggetto robusto e appuntito, come in un impeto d'ira di ... e ad un tratto il becco del Dio mi sembrò così vicino, santo cielo!, così pericolosamente vicino!
"Grandissimo Horus, la formula è tenuta accuratamente nascosta da molti anni, e vani sono stati tutti gli sforzi di noi mortali per scoprirla e potere così riprodurre a nostro piacimento l'eccelsa bevanda."
Nessun movimento, nessun gesto di reazione o di assenso.
"Come del resto tu stesso stai cercando di fare, a quanto vedo qui intorno: ma ahimé, se neanche tu, dall'alto della tua infinita scienza e dei tuoi poteri così terribili, sei riuscito ..."
Horus si rovesciò all'indietro, bruscamente, facendo cadere per terra altre lattine. Tacqui di colpo, mentre gli echi metallici si allargavano per tutta la sala, forse per l'intera piramide.
"Di quale scienza parli? Non vedi in quali condizioni mi tocca svolgere le mie analisi? Mezzi primitivi, sorpassati perfino dalla tecnologia umana: e sono secoli, anzi millenni, che vado ripetendo ad Anubis l'importanza di tenerci aggiornati. Ma lui niente, e per di più si atteggia ad ecologo ..."
"Come ecologo? Anubis?"
Spazzando via col braccio altre lattine ed un bel po' di provette, Horus continuò, in tono incollerito:
"Ho provato con tutti i reagenti conosciuti, ed anche con qualcuno di mia invenzione; ho usato analizzatori di spettro e risonanze magnetiche, ma non c'è niente da fare: quello che ci vorrebbe è un acceleratore di particelle, che generi reazioni subnucleari tali da consentirmi l'analisi delle strutture atomiche della bevanda. Ma Anubis non vuole sentire parlare di energia atomica, no! Pensa che andiamo ancora a benzina, su questa dannata piramide!"
Tacevo, sbalordito.
"Alla prossima crisi petrolifera mi farò quattro risate, io che da sempre, dico, saranno 4 o 5000 anni, avrei voluto installare dei bei motori a propulsione nucleare: e il maledetto sciacallo non vuole saperne!"
Decisi che era meglio tacere sulla mia antica militanza nei gruppi ecologici.
"E così non solo siamo anche noi dipendenti dal petrolio, ma adesso ci toccherà mendicare qua e là anche la Coca Cola!"
Il pugno di Horus fece sobbalzare tutto quanto si trovava sul tavolo. Altre lattine caddero a terra. L'immagine su uno dei monitor tremolò brevemente, ma si stabilizzò subito. Non potei fare a meno di notare che quanto appariva sullo schermo non era l'output di un complesso programma di chimica, bensì il 'campo minato' di Windows, al livello di massima difficoltà.
Da tempo non ci giocavo, da quando anch'io avevo risolto quel livello, ma non potei trattenere un sorriso.
"O immenso Horus, mi dispiace tu sia così adirato al pensiero di non poter produrre autonomamente la sublime bevanda. Ma forse potrei avere il modo di attenuare un po' la tua rabbia e la tua delusione."
Un rapido movimento degli occhi, ora quasi completamente aperti, mi fece capire che il Dio aveva notato la direzione del mio sguardo.
"Se credi di potermi dare dei suggerimenti riguardo quel gioco, ti sbagli. Vorresti farmi credere di essere più in gamba di me?"
Il tono beffardo non mi scompose.
"Quando mai, divino Horus. Vorrei sapere ... conosci già Monkey Island?"
"E me lo domandi? Anche Monkey Island 2, se è per questo."
"E Descent? Conosci anche quello?"
"Certamente. Sia Doom che Descent, cosa credi?"
"E quanti livelli ha Descent?"
"Sette, naturalmente."
Sorrisi di nuovo.
"Grande Horus, saresti contento se ti ... ehm ... procurassi la versione registrata di Descent con 27 livelli, nonché Full Throttle, appena uscito nei nostri negozi?"
Lo scatto con cui il Dio si girò verso di me mi fece capire che avevo colto nel segno.
"Ho già in programma l'acquisto di entrambi i giochi di cui ti ho parlato, e non avrò difficoltà a passarteli immediatamente, anche se ... ehm ... noi mortali la chiamiamo pirateria. Ma la causa è nobile ..."
"E inoltre", fece Horus con gli occhi che brillavano, "le vostre leggi sono state fatte per i mortali, non certo per gli Dei. Non commetterai quindi alcun reato, sta' tranquillo."
Era fatta. Avevo salvato capra e cavoli, come si suol dire.
"Quando tu vorrai, potente Horus, tornerò con i giochi che ti ho promesso, e con una ricca scorta di lattine."
Il Dio si alzò, bruscamente.
"Cosa aspetti, allora? Muoviti!"
"Ma come faccio a tornare indietro? Son venuto qui perché non riuscivo veramente a credere che tutto questo fosse vero ..."
"... e ora devi crederci nuovamente!"
"Non ci riesco!"
Horus si avvicinò. Il suo becco a pochi centimetri dal mio naso. E poi la sua mano sulla mia spalla, che mi serrava in una morsa quasi dolorosa.
Caddi in preda al panico. All'improvviso successe di nuovo, perché la paura, il contatto diretto con quel Dio, pur sempre il più temibile tra tutti gli abitanti della piramide, la paura insomma mi fece credere di nuovo, fino in fondo.
Vidi Horus allontanarsi, e poi Thot, e poi Anubis e Bastet che amoreggiavano; e poi ebbi una fuggente visione della piramide, sospesa nel cielo ... perché potevo vederla così bene?
Perché albeggiava. Ero di nuovo in cucina, davanti al mio frigorifero, ancora aperto, e ormai privo di lattine.
Lanciai un ultimo sguardo alla piramide che si allontanava, e chiusi il frigo. Con un sospiro recuperai le chiavi della macchina, e uscii di casa.
Dovevo trovare un bar notturno aperto, e non avevo idea di dove recarmi: ma potevo io, misero mortale, fare a meno della Coca Cola, quando neanche gli Dei ne erano capaci?
Entrando in macchina notai la piramide, ormai lontanissima e appena visibile. Il mio ultimo pensiero prima di mettere in moto rimase senza risposta.
"Chissà che cosa vedranno gli uomini grigi? Un aereo, un Ufo ... o forse una stella come tante altre?"


Non molto tempo dopo Nadia rimase incinta e, oltre a non scrivere più nulla, abbandonò del tutto Internet e McLink.
Nessuno ha più saputo niente di lei.